Daphne Du Maurier – Mia cugina Rachele

Mia cugina rachele daphne du maurier recensione copertina del libroPrima di Mia cugina Rachele, avevo già letto due raccolte di racconti di Daphne Du Maurier, ma devo dire che con il formato romanzo mi è piaciuta ancora di più. È uno dei libri più belli che ho letto nel 2020 e ne ho apprezzato molti aspetti:

– L’inizio sinistro, quasi horror, con il protagonista Philip da bambino che osserva terrorizzato il cadavere di un uomo impiccato.

– Tutta la prima parte, in cui Rachele è uno spettro dai mille volti, lontana da Philip che non l’ha mai vista e può solo immaginarla. Questo è un punto fondamentale, perché Philip continuerà a proiettare immagini interiori su Rachele per l’intera durata della vicenda. Prima che Rachele arrivi fisicamente a lui, però, c’è una lunga parte gotica della storia in cui Philip viaggia dall’Inghilterra verso l’Italia e tutto è pervaso da una sensazione orribile, che si concretizza quando il viaggio raggiunge la meta. Rachele è ancora un fantasma creato dalla mente di Philip, ammantata dall’aura di strega che si trascinerà per tutto il romanzo.

– Quando finalmente si palesa, Rachele sembra lanciare un incantesimo su Philip. Le altre donne sono personaggi che vivono ai margini della percezione di Philip, distratto prima dalle proprie ossessioni e poi da Rachele, che diventa la principale. Queste donne, dallo sfondo, vedono subito attraverso il “filtro magico” del carisma di Rachele. Per tutte è palese che Philip è soltanto un giovane inesperto che viene affascinato da una donna più adulta e più padrona di sé, che diventa in un certo senso padrona anche di lui.

– Rachele la strega: vedova sempre vestita di nero, donna lunare pallida e dai grandi occhi scuri, Rachele con le sue piccole mani pianta giardini, modifica il terreno, è un’esperta erborista che cura tutto il vicinato con le sue essenze e i suoi decotti. Forse ha avvelenato il marito con le sue piante.

Tutta la storia è raccontata da Philip, un narratore poco affidabile attraverso la cui ingenuità Du Maurier lascia intravedere brandelli di realtà diverse da quelle che lui ci presenta. Il libro è scritto benissimo anche per questo, perché la storia ce la racconta lui ma leggendola è sempre chiaro che le cose non stanno esattamente come lui ce le dice. Siamo sempre un passo avanti a Philip, perché Du Maurier riesce a porci proprio lì. In questo modo viviamo un’esperienza simile a quella del protagonista, la cui angoscia deriva dalla dissonanza cognitiva tra quello di cui si vuole convincere e quello che lui stesso percepisce in contrasto con la realtà che si sta inventando. È da lì che nasce il senso di paranoia che pervade tutto il suo racconto.

– L’aspetto più importante del libro è che Rachele è una tela bianca su cui Philip proietta le proprie paure e i propri desideri, iniziando a farlo ancora prima di conoscerla. Quando il suo cugino-tutore si sposa con lei, Philip è geloso, si sente minacciato negli affetti e negli aspetti materiali (il cugino era come un padre e lui rischia di non essere più l’erede del patrimonio). Quando il cugino muore e Philip finalmente la incontra, Rachele si trasforma in una sostituta del cugino, prendendo il posto da lui lasciato, ma in una forma nuova (femminile, forma aliena per Philip, fatto che lo sconquassa). Rachele ha altri progetti, altri desideri, altre caratteristiche, ma Philip non li vede mai perché è troppo distratto dall’attribuire a Rachele i propri.

– Philip è così concentrato su se stesso, così incline a proiettare il suo ego sul mondo (in modo del tutto inconsapevole), che percepisce Rachele come un pezzo della sua eredità, e muove mari e monti per renderla legalmente tale. Il gesto apparentemente insensato che compie con il notaio serve a sancire proprio questo. Philip non pensa subito di proporre il matrimonio a Rachele, ma decide invece di cederle la proprietà, vincolandola formalmente a mantenere la situazione esattamente come è. Lei sarà la nominalmente la proprietaria, ma nel progetto di Philip non cambierà nulla: lui resterà l’erede, mentre lei per contratto non potrà sposare nessuno, pena la perdita del patrimonio. Philip si immagina così di passare il resto della vita assieme a Rachele nella casa in cui è cresciuto, amministrando per lei la tenuta.

Rachele ha altri progetti, questo è chiaro fin dall’inizio. Anche se Du Maurier ce la presenta filtrata dalle paure e dalle ossessioni di Philip, non affiora mai un giudizio morale negativo su Rachele. È chiaro che lei ha in mente il denaro, ma non c’è da biasimarla per questo; d’altra parte, è evidente che è giusto così: è rimasta vedova con un testamento non firmato. Du Maurier fa passare questo concetto in ogni modo possibile, mettendolo in bocca praticamente a ogni personaggio del libro. Allo stesso tempo davanti all’ingenuità di Philip, Rachele appare spietata, ma di una spietatezza mai davvero condannabile, mentre Philip risulta irritante e piagnucoloso come un bimbetto, finché nell’ultima parte si trasforma in un uomo violento. È la parabola di un bambino capriccioso che diventa grande e pericoloso, mentre quella di Rachele è la storia delle donne che si devono barcamenare senza indipendenza economica, manipolando un maschio più ignorante di loro.

– L’ambiguità della storia, il cui mistero non ha volutamente un vero scioglimento, rispecchia il suo concept. Per tutto il racconto, Rachele è stata l’oggetto delle proiezioni di Philip, per cui neanche per noi ci sarà mai davvero il modo di scoprire con certezza quali delle sue e delle nostre supposizioni fossero esatte e quali delle fantasie.

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