Arthur C. Clarke – 2001 Odissea nello spazio

2001 odissea nello spazio arthur c clarke recensione copertina libroNel 1964, il regista Stanley Kubrick scrive una lettera allo scrittore di sci-fi Arthur C. Clarke per invitarlo a New York a discutere di un progetto. Clarke vive già da anni in Sri Lanka, paese in cui rimarrà fino alla morte, ma accetta la proposta di Kubrick e i due si incontrano in un ristorante hawaiano dove si trattengono a parlare per ore. Kubrick vuole girare un film di fantascienza, uno “fatto bene” rispetto ai b-movie dell’epoca (che disprezza) e Clarke gli è stato raccomandato come il miglior autore di fantascienza suo contemporaneo.

Inizia così la stesura di 2001 Odissea nello spazio il libro e di 2001 Odissea nello spazio il film: Clarke alloggia per un po’ al Chelsea Hotel, seleziona e propone a Kubrick alcuni dei suoi racconti già pubblicati. Kubrick li boccia tutti. Il regista, da bravo perfezionista, dice a Clarke che il modo migliore per lavorare a questo soggetto è scrivere un romanzo ex novo. L’accordo iniziale prevede che Clarke sviluppi il romanzo lavorando assieme a Kubrick, che poi lo adatterà in una sceneggiatura. In realtà, le due opere vengono sviluppate in parallelo, e l’una influenza l’altra in un rapporto biunivoco.

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Comunque sia, Clarke e Kubrick partono dallo spunto di un racconto che Clarke ha già scritto anni prima, La sentinella, storia del ritrovamento di un reperto alieno la cui origine è sconosciuta. Clarke riprende particolari presenti anche in altri suoi racconti per scrivere una storia completamente nuova. Il titolo di lavorazione del progetto di Kubrick e Clarke è How the Solar System Was Won.

Leggendo 2001 Odissea nello spazio di Clarke, si capisce in cosa cinema e letteratura siano media diversi. Come ha detto lo stesso Kubrick nel 1970, il libro è più esplicito nel fornire spiegazioni, mentre il film è un’esperienza visiva e non verbale, che punta al subconscio dello spettatore; è un’esperienza soggettiva, come la fruizione della musica o della pittura. E infatti 2001 è un film basato su pochissimo dialogo che racconta quasi esattamente la stessa storia di Clarke. Ma non è questo il punto: anche se le cose che succedono in questo romanzo sono le stesse del film, ma l’esperienza che ne facciamo attraverso il libro cambia.

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Tolta la dimensione soggettiva di cui parla Kubrick, rimane ugualmente la potenza delle immagini evocate dalle parole di Clarke. L’interpretazione però è univoca, è quella che lo scrittore vuole dare a questo viaggio. Il mistero del monolito c’è, ma è circoscritto, il rapporto consequenziale tra i singoli avvenimenti è esplicitato in modo inequivocabile, cosa che nel film rimane sospesa.

Entrambi i testi hanno punti più faticosi, più lenti, e sono grossomodo gli stessi. Forse la parte iniziale di Clarke, proprio perché emessa da un narratore onnisciente che parla dal futuro, rispetto a un presente narrativo di 3 milioni di anni fa, è più appassionante nel libro: da umani dell’oggi, ci viene fornito punto di vista attraverso cui identificarci mentre seguiamo la vicenda degli ominidi. La prospettiva viene subito stabilita: come spesso in Clarke, è quella sovrumana, gigantesca, del tempo che passa in milioni di anni.

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La fase successiva, con il viaggio verso il monolito nascosto sulla Luna, per me rimane quella più ostica di film e libro, quale che sia il mezzo con cui viene raccontata (nel senso che mi annoia). Allo stesso modo, i momenti di confronto tra l’uomo e l’universo vissuti dall’astronauta David Bowman sono quelli più visionari e fantascientifici, il vero cuore delle due opere, per quanto differiscano parecchio tra loro nelle scelte narrative che li riguardano. Lo spirito però resta invariato. Commoventi visioni del sistema solare, coi passaggi dell’astronave Discovery vicino a Giove e a Saturno, fino all’estremo finale extrasolare.

2001 odissea nello spazio arthur c clarke recensione posterijnoÈ proprio nel finale che Clarke si allontana da Kubrick, o quanto meno fornisce una sua visione ben precisa di quelle immagini che nel film possiamo interpretare in modi diversi. La scelta finale di Clarke per me è apprezzabile perché in linea con la sua poetica, incline a immaginarsi un’umanità al cospetto di qualcosa di più grande e inspiegabile. Gli alieni di 2001 ricordano quelli del finale di Le guide del tramonto, e mi pare che siano una personale interpretazione che Clarke dà all’idea di divino – ed è naturalmente molto fantascientifica.

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