Wulf Dorn. Follia profonda

follia profondaFollia profonda di Wulf Dorn è un thrillerone con impulsi gialli: c’è una serial killer che perseguita il protagonista; sicuramente la conosce; ergo, sfida per il lettore: ci sono tanti personaggi, chi è l’assassina? Mix classico, purtroppo espresso in una prosa monotona e sbiadita, e con la fastidiosa tendenza – tipica di certi thriller – a riempire più pagine del necessario.

Caratteristiche del romanzo: il protagonista non è un investigatore, ma uno psichiatra, e il tema psichiatrico appare nella narrazione con qualche analisi dei sogni e un paio di tentativi di profiling dell’assassina. Ma, per il resto, l’essere psichiatra non ha alcun rilievo né per la trama, né per la caratterizzazione del personaggio.

C’è una doppia investigazione: quella del protagonista, e quella parallela condotta da un personaggio secondario. Da manuale, avremo false piste, indizi fuorvianti messi a bella posta. Wulf Dorn gioca piuttosto bene proprio questi elementi, riuscendo a crearne di credibili, e in quantità sufficiente da celare la verità.

SPOILER ALERT

Ma il lettore ci potrebbe arrivare per esclusione: se pensiamo a quale sarebbe la rivelazione più improbabile e assurda, capiamo subito chi sia il colpevole. Dorn usa un’immagine ricorrente che mi ha ricordato il film Vestito per uccidere di Brian De Palma, e qui abbiamo già una prima risposta.

Paradossalmente, il ribaltamento finale è telefonato proprio per questa ragione: se per l’intero romanzo non si fa altro che parlare di un’assassina, il vero colpo di scena sarà che non si tratti davvero di una donna. Ci avviciniamo alla zona Psycho, e ce lo aspettiamo. Ancora una volta, ci troviamo con un assassino queer coded, in una storia in cui questa queerness diventa lo strumento di rappresentazione del demoniaco e dell’alienazione – suona poco convinto e poco convincente l’appunto che Dorn butta lì per puntualizzare che non si parla di un personaggio transgender, ma di una personalità multipla: il risultato è sempre quello di descrivere come l’ultima frontiera del mostruoso un uomo che ha anche un’espressione di genere femminile.

Ciò detto, non è questa l’unica pecca del romanzo, anche se ne è la delusione finale. I suoi difetti sono gli stessi di tanti libri simili: la scrittura ottusa, che non scalfisce la superficie; una traduzione che non sembra aver migliorato le cose, anzi; la ridondanza di decine e decine di pagine, tra cui le focalizzazioni sull’assassina, che spesso non servono a nulla: non dicono niente di più sul personaggio, non offrono alcuna visione, tentano soltanto di dare un’idea stereotipata di quello che passa per la testa del folle, ripetendo sempre le stesse cose. Insomma, è un libro che si legge solo per l’intreccio e che si rianima più che altro nell’ultima parte, dove l’azione si fa concitata.

Comunque, stando ai social letterari, è piaciuto a un sacco di gente. Io invece trovo migliori alcuni romanzi di un altro tedesco, Sebastian Fitzek, autore di psychothriller che davvero non riesco a posare sul comodino.

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